L’industria delle costruzioni è tradizionalmente un settore prevalentemente maschile. Questo, tra le altre motivazioni, perché associato all’idea dalle dure condizioni lavorative. Tuttavia, l’evoluzione del settore verso una sempre maggiore digitalizzazione e verso la sostenibilità offre la possibilità a uomini e donne di svolgere le stesse attività professionali in condizioni di parità di diritti e opportunità.

Una carriera nell’industria della costruzione è allettante sotto vari punti di vista. Come per il lavoro di squadra, lo sviluppo di abilità come la negoziazione e la creatività e la continua innovazione. Non meno importante, carriere nell’edilizia possono arrivare ad essere anche ben retribuite. È un’industria vivace che genera il 4,9 per cento del PIL.

Ma come mai ancora oggi si fa difficoltà a trovare donne che lavorano nel settore?

Il Paradosso tra i livelli di istruzione e disoccupazione femminile in Italia

Secondo i dati raccolti da Italia in Dati nel 2022, il trend della crescita della quota dei laureati in Italia degli ultimi anni è in salita. Eppure, questa percentuale resta generalmente bassa rispetto a quella media europea.

La quota di 30-34enni laureati in Italia, infatti, è pari al 26,8% contro una media europea del 41,6%. [fonte: https://italiaindati.com/]

Percentuale di laureati sul totale della popolazione 25-64enne al 2021 in alcuni dei principali Paesi Europei rispetto la popolazione: [fonte: https://italiaindati.com/]

Da un punto di vista del genere, la maggioranza è di donne laureate – maggioranza chiara anche nella media europea – ma molto più accentuata in Italia. E qui troviamo il primo paradosso. La quota femminile sulla popolazione 25-64enne è del 23,1% contro quella maschile del 16,8%. I livelli di istruzione femminili sono aumentati nel tempo. Eppure, questi dati non si traducono in vantaggi lavorativi rispetto agli uomini.

Le donne, infatti, mostrano un tasso di disoccupazione medio (20-64 anni) più elevato rispetto agli uomini ed anche un chiaro svantaggio da un punto di vista remunerativo.

Questa differenza si registra sia tra adulti che giovani. Ma a preoccupare è in particolare anche il tasso di disoccupazione giovanile generale (15-24 anni), piuttosto alto paragonato agli altri Paesi Europei.

Nel 2022, il tasso di disoccupazione in Italia ammonta infatti all’ 8,1%. Nello stesso anno, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è del 23,7%, nonostante il fatto che questi dati siano in diminuzione rispetto agli anni precedenti. [fonte: https://italiaindati.com/]

Un confronto tra Paesi Europei

Di seguito una panoramica sui tassi di disoccupazione (15-74 anni) e sui NEET tra i Paesi Europei al 2022. I Neet (not in education, employment or training) sono giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non cercano impiego. L’Italia risulta in Europa il 3° Paese per tasso di disoccupazione (dopo Spagna e Grecia) e il 2° Paese per tasso di NEET (dopo la Romania).

Differenze di genere

All’interno dell’Unione Europea, l’Italia si colloca al di sotto di UE27 (senza UK) e UE28. Il paese più virtuoso è la Svezia, il peggiore la Grecia. Occorre sottolineare però che in generale i paesi europei sono riconosciuti come i migliori in questo ambito a livello globale.

 

Necessità di scelte più consapevoli nel mondo dello studio e del lavoro

Perché tanta disoccupazione

Uno dei motivi dell’elevato tasso di disoccupazione nel Bel Paese è la problematica legata al disallineamento tra domanda (delle imprese) e offerta (dei lavoratori) nel mercato del lavoro. Negli ultimi anni, il distacco economico tra l’Italia e la media dei Paesi Europei in vetta viene parzialmente attribuito all’inadeguatezza del sistema economico di accontentare la richiesta di beni e servizi del mercato.

La scelta del percorso di studi resta di cruciale importanza per predire l’arrivo a sbocchi lavorativi soddisfacenti. L’orientamento allo studio non viene effettuato in modo adeguato nel passaggio tra le scuole medie e superiori e tra le superiori e l’università. Inoltre, esiste ancora troppa distanza tra il mondo universitario e quello lavorativo.

All’era attuale, le lauree scientifiche portano generalmente a possibilità lavorative e retribuzioni migliori di quelle umanistiche. Una delle ragioni è che le facoltà umanistiche, molto seguite percentualmente in Italia, offrono spesso percorsi non adattati al mondo sempre più digitalizzato.

Nel 2021, la percentuale di 25-34enni laureati in un’area disciplinare scientifica (STEM: Science, Technology, Engineering and Mathematics) è pari a circa il 24%; è forte il divario di genere: 33,7% tra i ragazzi e 17,6% tra le ragazze. Le proporzioni si rovesciano nell’area umanistica e servizi. [fonte: https://italiaindati.com/]

Discipline universitarie scelte dalle donne in Italia nel 2021:

Discipline universitarie scelte dagli uomini in Italia nel 2021:

[fonte: https://italiaindati.com/]

La percentuale di 25-34enni laureati nelle discipline scientifiche è sensibilmente più bassa in Italia che in Germania (>32%), ad esempio, ma anche in Spagna o in Francia (>27%). Ciò non fa che impattare negativamente il tessuto economico nazionale, sempre più orientato verso la trasformazione digitale.

È importante quindi incoraggiare le nuove generazioni verso scelte più coscienti nelle discipline di studio e lavoro, sempre rispettando le naturali predisposizioni di ciascuno.

 

L’era della Transizione Digitale

Per transizione digitale si intende un processo di trasformazione tecnologica che riguarda trasversalmente anche il tessuto sociale. Al centro del processo vi sono le tecnologie, ma quest’ultime generano evoluzioni anche culturali importanti all’interno dell’intera società. La trasformazione digitale è difatti cominciata in ogni industria, anche se l’industria edile risulta ancora molto indietro rispetto alle altre. La digitalizzazione ha modificato piano piano ogni aspetto della vita quotidiana di un individuo. Pertanto, non si può considerare la transizione digitale moderna legata indissolubilmente ad una nuova rivoluzione industriale. Nel mondo Occidentale fino a pochi anni fa venivano riconosciute tre Rivoluzioni Industriali:

  • La prima (dal 1750 al 1830) che, grazie all’invenzione della macchina a vapore, ha permesso di industrializzare la produzione nel settore tessile e metallurgico;
  • La seconda (dal 1850 al 1914) che, grazie alla scoperta dell’elettricità, di alcuni prodotti chimici e del motore a scoppio, ha rivoluzionato il mondo delle fonti energetiche;
  • La terza (dal 1970 al 2000) che, grazie allo sviluppo dell’informatica, ha contribuito alla diffusione di calcolatori e alla consequenziale automazione di molti processi.

Tra il 2011 e il 2016 è stato introdotto un nuovo concetto, quello di Quarta Rivoluzione Industriale. Tale rivoluzione nasce da un differente impiego degli strumenti sviluppati a partire dalla terza rivoluzione industriale.

La Quarta Rivoluzione Industriale

La Quarta Rivoluzione Industriale è il risultato della cooperazione intelligente tra essere umani, macchine e calcolatori. Si fa dunque spesso riferimento:

  • da un punto di vista produttivo, all’utilizzo di sistemi integrati che collegano tutte le componenti tecnologiche di una linea di produzione con i software che adoperano tutti i team aziendali;
  • da un punto di vista quotidiano, all’Internet delle Cose (o Internet of things), ovvero all’estensione di Internet al mondo degli oggetti che ci circondano nella vita di tutti i giorni.

Quest’ultima fa perno sui big data, una mole di dati di tali dimensioni, da richiedere tecnologie particolarmente avanzate per poter essere decifrata. Anche per tale motivo, sono sempre più richiesti software e database in grado di produrre e immagazzinare enormi quantità di dati, di sistemi di sicurezza informatici sempre più aggiornati e di piattaforme informatiche in grado di normalizzare e manipolare intelligentemente ingenti quantità di dati.

L’avvento del BIM (Building Information Modelling) sta finalmente permettendo anche all’industria edile di usufruire di questo momento storico. La possibilità di realizzare il modello tridimensionale di un edificio, ne permette la condivisione rapida con i diversi esperti coinvolti nel progetto e facilita, ad esempio, la scelta di materiali meno impattanti ambientalmente, l’integrazione architettonica, strutturale e impiantistica, la riduzione al minimo di rischi in cantiere, l’implementazione di componenti prefabbricati anche attraverso l’uso di stampanti 3D l’ottimizzazione della logistica, la riduzione di sprechi grazie alla simulazione del processo costruttivo e così via. Infine, la facile condivisione di dati attraverso il modello BIM permette di migliorare la collaborazione tra i diversi esperti e di migliorare la manutenzione e la gestione dell’opera edile. È da sottolineare che queste ultime sono le fasi più costose della vita di un edificio oltre ad essere le più impattanti dal punto di vista ambientali.

L’introduzione del BIM e la digitalizzazione della filiera edile può rendere questo settore molto più attraente per i giovani, sempre più orientati verso le nuove tecnologie, e per le donne, che non assocerebbero più questo settore a condizioni lavorative prettamente maschili.

 

Apertura a nuove sfide e maggiore inclusione femminile e giovanile nelle industrie come quella della costruzione

Proprio grazie alla digitalizzazione, ai nuovi professionisti edili viene chiesto di aprirsi a nuove sfide e di adattare il proprio modo di lavorare di conseguenza.

In Italia sono state promulgate normative per gestire questa transizione. Si sta provando ad incentivare l’innovazione e a facilitarne la transizione nel mondo del lavoro. Si punta ad esempio a sempre maggiori iscrizioni universitarie, dottorati di ricerca, iscrizioni ad Istituti Tecnici e formazioni per professionisti su temi dell’Industria 4.0.

Nonostante alcuni esiti positivi però, la strada è ancora lunga per la conversione dell’intero sistema produttivo e formativo alle nuove tecnologie.

La Pubblica Amministrazione, ad esempio, non è ancora riuscita a digitalizzare gran parte dei suoi processi. Questo anche a causa di una forte resistenza culturale e di un diffuso analfabetismo digitale, ovvero l’incapacità di utilizzare le nuove tecnologie.

La digitalizzazione dei processi del costruire è all’attenzione della Commissione Europea, che ne sta promuovendo la formazione per tutti i comuni dei 27 paesi europei. Negli uffici tecnici delle pubbliche amministrazioni la maggior parte degli impiegati sono attualmente donne ed utilizzano strumenti obsoleti che allungano notevolmente i tempi delle autorizzazioni. Permettere a donne e uomini impiegati in queste mansioni di formarsi nella digitalizzazione permetterebbe di facilitarne notevolmente i compiti. Nel caso dell’industria edile, la digitalizzazione dei permessi di costruire, infatti, permette di eliminare i processi logoranti di routine, che portano più facilmente a errori e che rallentano l’intero processo autorizzativo. L’uso di software in grado, ad esempio, di controllare i requisiti geometrici del modello digitale di un’opera edile, accelererebbe il processo autorizzativo migliorando anche la qualità del servizio nei confronti di tutti i cittadini.

 

Investire su tecnologie e digitalizzazione per risollevare l’economia del Paese

Per uscire dall’impasse tra i bisogni emergenti nell’industria e mancanza di lavoratori con le qualificazioni appropriate, occorre aumentare gli investimenti pubblici in formazione e ricerca, oltre che promuovere a più larga scala i percorsi appropriati. l’Italia sta investendo nell’istruzione una % di PIL inferiore agli altri paesi europei.

In un mondo in cui il contenuto tecnologico dei beni e dei servizi è risolutivo per stimolare l’economia di un Paese, la promozione dell’istruzione adeguata dovrebbe essere messa al primo posto. In Italia osserviamo però tassi di analfabetismo digitale e funzionale ancora troppo alti rispetto ai suoi bisogni.

Alcune soluzioni potrebbero dunque includere:

  • L’aggiornamento dei percorsi educativi che forniscano gli strumenti necessari ad adattarsi alla trasformazione ed innovazione dell’industria.
  • Una disincentivazione al precoce ingresso nel mercato del lavoro grazie all’investimento nel sistema educativo pubblico di alto livello.
  • Una promozione alla filosofia del “lifelong learning (apprendimento permanente). Questo incentiverebbe il rafforzamento continuo delle proprie competenze, anche tra gli adulti ed i professionisti già affermati.

Dal 2011, la Commissione Europea ha avviato il programma Build Up Skills che intende «aumentare il numero di professionisti dell’edilizia formati e qualificati in tutta Europa per realizzare ristrutturazioni di edifici che offrano prestazioni energetiche elevate, nonché nuovi edifici a energia quasi zero.”

L’Italia ha ottenuto il finanziamento per un progetto inteso a sviluppare la tabella di marcia da realizzare per raggiungere proprio questi obiettivi entro il 2030. (https://www.ibimi.it/res2/). Alcuni tra gli obiettivi da raggiungere, identificati dall’iniziativa Build Up Skills, i sono:

Risolvere la problematica della penuria di manodopera qualificata

In tutta l’Europa si riscontra una carenza di manodopera qualificata nel settore edile, che può ostacolare la crescita e la realizzazione di progetti di elevata qualità.

Sono ancora molto poche le donne che si iscrivono a corsi di operaie e di tecniche edili. Secondo dati forniti da Formedil, infatti, le donne ad aver scelto questo indirizzo lavorativo nel 2022 sono appena del 5,7% del totale.

Coinvolgere più donne a lavorare come operaie e tecniche avrebbe il doppio vantaggio di aumentare il numero di lavoratori qualificati nel settore ed offrire un’impiego a molte donne che faticano a trovare occupazioni stabili.

Per ottenere questi risultati, bisogna però sconvolgere i preconcetti riguardanti lavori considerati tipicamente ‘maschili’, come appunto quelli di operai e tecnici edili, ed aprirsi ad un futuro di pari opportunità ed innovazione.

 

Forse basterebbe ricordarci che sono state le donne, durante la guerra, a mantenere in piedi l’economia nazionale lavorando in ruoli che fino a quel momento erano solo di dominio maschile, per scrollarci di dosso stereotipi e preconcetti.

 

Rispondere alla domanda crescente di sostenibilità nell’industria

Si osserva una sempre crescente attenzione alle questioni ambientali e alla sostenibilità nell’industria edile. L’adeguamento alle norme ambientali e l’adozione di pratiche sostenibili possono rappresentare sfide per molte imprese.

Grazie alla richiesta di progetti in BIM negli appalti pubblici, sempre più donne, soprattutto architette ed ingegnere, vengono assunte per lavorare in questo settore. Il modo di lavorare delle donne è tendenzialmente considerato ad essere più preciso e percentualmente si registra anche una maggiore attenzione verso temi come quello della sostenibilità. È ragionevole dedurne quindi che spingere più donne in questo settore permetterebbe una maggiore attenzione alla sostenibilità delle opere costruite. L’industria edile è infatti, purtroppo, ancora tra i maggiori autori dell’inquinamento nella società moderna.

 

Formazioni obbligatorie

Per intervenire in modo strutturato e uniforme su tutto il territorio nazionale, si propone di mettere in atto una formazione obbligatoria sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta prendendo spunto dalle iniziative che la Commissione Europea sta finanziando proprio per la filiera edile.

La formazione, però, non può perpetuare quanto in essere perché, come evidenziato da studi svolti dall’unione Europea, la strada è ancora lunga.

Una proposta innovativa e probabilmente risolutiva, già attivata con successo in altri paesi, è quella di rendere obbligatoria la formazione di tutta la maestranza già all’interno del bando di gara. Questo significa che una volta ottenuto l’appalto, i lavoratori dovrebbero obbligatoriamente superare un esame per dimostrare le proprie competenze tecniche e digitali nel realizzare quanto previsto nel bando. In alternativa, le dovrebbero acquisire prima di avviare i lavori. In questo modo, si arriverebbe ad un graduale miglioramento di prestazioni della forza lavoro. Come conseguenza, le opere edili sarebbero realizzate più efficientemente e in qualità migliore, senza considerare l’impatto sull’ambiente e sul benessere generale.

La roadmap del progetto RES2 intende fare proprio questo. La roadmap viene realizzata con un dialogo continuo con tutti gli stakeholder sia lato domanda che lato offerta. Già il primo workshop, realizzato a Roma il 20 gennaio 2024, ha offerto ottimi spunti di riflessione attraverso un confronto con rappresentanti del Ministero del lavoro, dell’ambiente, docenti universitari, rappresentanti di imprese, di associazioni di donne professioniste, di tecnici, di professionisti, di gestori di case popolari oltre che dei partner del progetto che sono: Istituto per il BIM Italia (coordinatore), Fondazione Lombardia per l’Ambiente, Formedil, ECIPA Veneto, CNCE, Scuola Edile Artigiana Romagna.

Continuate a seguire i lavori del progetto per restare aggiornati sulle novità.

In conclusione, è necessario incoraggiare giovani e donne a intraprendere scelte di formazione e percorsi professionali all’interno dell’industria edile che possano rivelarsi soddisfacenti per loro e di cui il settore delle costruzioni e perfino l’economia del paese possa beneficiare. È fondamentale anche sostenere e motivare le donne durante tutto il loro percorso di carriera, affinché diventino un traino poi per le generazioni successive.