DISPONIBILE LA RELAZIONE SUL PRIMO CICLO DI WORKSHOP RES2
In questo articolo troverete una sintesi dei risultati principali emersi dai numerosi tavoli di confronto organizzati in presenza e online con stakeholder del settore edile in tutta Italia.
Da settembre a novembre partirà il secondo ciclo di workshop, per redigere la versione definitiva della Roadmap 2030, per INFO e ADESIONI scrivi a: res2@ibimi.it

Introduzione
Il presente report aggiorna i precedenti modelli di analisi andando ad includere i dati ed i materiali prodotti da RES2, in cooperazione con gli stakeholders coinvolti, tramite questionari e workshops, online ed in presenza.
L’obiettivo finale di questo processo iterativo è la produzione di un framework atto a sviluppare una roadmap concreta e specifica, orientata al raggiungimento degli obiettivi di digitalizzazione e transizione eco-sostenibile in seno al settore edile italiano.
RES2 intende rendere tale strumento utilizzabile ad un livello sufficiente per garantire entro la timetable dell’Agenda 2030 almeno una diffusione maggioritaria presso gli stakeholders chiave degli strumenti, metodologie e strategie necessarie a rendere possibile il raggiungimento degli obiettivi in questione.
Il modello corrente è complessivamente focalizzato su riforme strutturali derivate da un’analisi sistemica delle problematiche individuate, articolata secondo i seguenti livelli:
- Politico: indirizzo strategico, normative e procedimenti;
- Educativo-formativo: metodologie, contenuti e prospettive dell’apprendimento;
- Economico-aziendale: modelli di mercato, andamenti e strategie;
- Ecologico: ambiente umano (socio-culturale), sostenibilità bio-chimico-fisica.
Premialità del massimo ribasso
Questo indirizzo strategico si basa in teoria sull’ottenimento del miglior rapporto qualità/prezzo tramite la riduzione di sprechi e la focalizzazione dell’investimento; ma nella pratica si trasforma nella maggior parte dei casi in produzione di risparmio tramite minimizzazione aggressiva dei costi a discapito della qualità, sostenibilità ed impatto effettivi del prodotto / progetto.
Osserviamo come ciò sembri sistematicamente privilegiare progettualità in aree già relativamente stabili e prospere, condotte da attori e consorzi già ben consolidati gestiti con modalità vetuste ma rodate: ovvero situazioni ove è più facile tagliare costi e focalizzare sforzi su specifici risultati ben visibili e nominalmente eccellenti. Interventi in aree periferiche, marginalizzate e fragilizzate, così come progettualità più ambiziose sul piano innovativo, finiscono dunque con l’essere il più delle volte scavalcati.
L’esperienza concreta in campo edile mostra sistematicamente come la minimizzazione dei costi tenda a rallentare l’innovazione, procrastinare manutenzione e smaltimento, e disincentivare formazione e cooperazione territoriale / istituzionale, in quanto tutti ambiti potenzialmente “tagliabili” con poco impatto diretto ed immediato sulla costruzione stessa.
Il taglio di tali spese causa spesso situazioni praticamente ingestibili, portando a cantieri eternamente prolungati e/o all’utilizzo di lavoro a nero per compensare con minimo dispendio. Parallelamente, la disincentivazione ad investire nella cooperazione porta alla tendenza a mantenere equilibri e partenariati già previamente consolidati a prescindere dal loro stato di viabilità tecnica, supportando clientelismo e nepotismo.
Tale gestione tende dunque a mantenere un mercato a breve termine, dipendente per buona parte da finanziamenti pubblici, influenzato da dinamiche di privilegio economico-politico, lento a rinnovarsi, ad alto costo socio-ambientale, contribuendo così alla degradazione dei rapporti tra cittadini ed istituzioni.
Il breve-termismo in questione è particolarmente gravoso in termini di utilizzo di fondi Europei e prestiti bancari da parte dello Stato italiano, dato che non sembra essere presente un piano strategico di investimento sufficientemente solido da garantire una sostenibilità tale da saldare i debiti e preservare il mercato del lavoro edile.
Filiera educativo-formativa inefficace
Da ormai più di un secolo educatori, pedagogisti ed esperti di vari settori di alto impiego sono concordi nello spingere verso modalità di apprendimento meno frontali, improntate ad attività pratiche e allo sviluppo di capacità relazionali / cooperative tramite in particolare il coinvolgimento di attori e risorse territoriali con la scuola.
Esperienze e progetti positivi sono stati realizzati in tutta Italia, ma la transizione verso tali modelli rimane troppo lenta ed in ritardo rispetto alle esigenze correnti del mercato, che chiaramente segnala una percentuale significativa di neo-dipendenti con gravi lacune in ambiti pratici (di base e soprattutto specialistici), in capacità cooperative / comunicative, e in abilità a formarsi nelle correnti mansioni – in altri termini uno Skill Gap.
Persone con formazioni certificate e molteplici titoli di studio sembrano arrivare al primo impiego prive delle competenze basilari di occupabilità e delle specifiche conoscenze e know-how pratici effettivamente richiesti dalle aziende. La percezione è di un mercato formativo basato sulla compravendita di certificati valorizzati da un alto numero di ore di corsi e da “prestigio” nominale piuttosto che dalla cura delle metodologie e dall’aggiornamento dei contenuti.
Una tale tendenza sarebbe in totale contrasto con i bisogni del mercato, particolarmente in una gestione al massimo ribasso, che spinge verso micro-formazioni continue, specializzate ed economiche – non costose, puntuali e generali certificazioni. Tale contrasto si estende nelle difficoltà aziendali legate alla perdita di tempi di produzione a causa dei tempi di formazione, specie data la bassa valorizzazione ed eccessiva durata di questi ultimi.
Il settore edile italiano sembra soffrire particolarmente, in un tale ambiente, per l’inerente devalorizzazione dei lavori artigiani e manuali, poco compatibili con la compravendita di lunghi corsi formativi frontali e “in banco”. Ciò si lega a narrazioni del cantiere come luogo pericoloso, faticoso e poco igienico, così come alla bassa retribuzione e scarsa tutela di molte mansioni, ancora prive del riconoscimento delle moderne competenze ormai necessarie, e concorre a mantenere i percorsi formativi tecnico-manuali in una condizione di “alternativa al ribasso”.
Ciò rende difficile orientare nuove generazioni verso il settore edile e generare un genuino interesse vocazionale, nonostante le potenzialità innovative e creative correntemente richieste e supportate dal mercato. La scarsità di interesse giovanile a sua volta tende a dissuadere la filiera educativa-formativa dal dedicare maggiori risorse allo sviluppo, adeguamento e aggiornamento dei percorsi dedicati all’edilizia ed alle professioni tecnico-manuali in generale, mantenendo un circolo vizioso a rischio di “estinguere” numerose figure professionali essenziali.
Settore edile “retrogrado”
Sul piano istituzionale e normativo, il settore è in ritardo ad aggiornarsi alle necessità di mercato in termini di nuove figure professionali, nuovi percorsi / certificazioni formative, uso di nuovi materiali / tecnologie, e dello sviluppare adeguate tutele, praxis e modalità di controllo / verifica.
Tale ritardo si incarna particolarmente nell’ormai pluridecennale problema di processi burocratici inefficienti, inefficaci, opachi e nella pratica troppo scarsamente controllati. Questo status quo procedurale mantiene un ambiente ad alto rischio di corruzione, clientelismo, infiltrazioni del crimine organizzato, abusi edilizi ed altro. Tali rischi generano a loro volta una generale “notorietà” negativa, specialmente nel mezzogiorno, dell’intero settore edile.
Tali ritardi e cattiva reputazione sembrano contribuire al già negativo impatto della minimizzazione dei costi derivata de facto dalla gestione al massimo ribasso, ponendo ulteriori freni ai processi di innovazione ed adeguamento agli obiettivi di mercato. In particolare, la situazione complessiva sembra disincentivare le aziende dall’aggregarsi in progetti dinamici ed aggressivi, favorendo piuttosto una frammentazione in piccole entità freelance, sussistenti quasi esclusivamente grazie alla scarsità di personale qualificato.
La relativa assenza di progetti innovativi / aggressivi, unita alla sovrabbondanza di piccole aziende, disincentiva la visione delle attività formative come investimenti aziendali dinamici e lungimiranti, ponendole invece, specie quando obbligatorie, come oneri privi di valore aggiunto e difficili da sostenere.
La combinazione di sommersi economici-lavorativi e di devalorizzazione della formazione sembra contribuire ad un rallentamento o mancanza nel riconoscimento delle nuove competenze, qualifiche ed esperienze ormai necessarie per lo svolgimento di varie mansioni nell’edilizia moderna. Ciò ostacola l’instaurazione di negoziati per un significativo rinnovamento dei contratti nazionali di lavoro, sebbene questi siano perlopiù obsoleti e non rispondano più alle esigenze di tutela e valorizzazione dei lavori edili.
Tale ambiente non pone solide basi di sviluppo sul medio-lungo termine, scoraggiando gli investimenti e incrementando ancora più la relativa dipendenza del settore dai fondi pubblici.
Ambiente di lavoro ostile
Le già menzionate tendenze sembrano causare fattori – quali la riduzione di cooperazione territoriale / istituzionale, la frammentazione aziendale, i tagli in ambiti quali manutenzione / smaltimento, ed in generale la minimizzazione dei costi – che hanno un impatto sproporzionato sulle categorie di popolazione già fragilizzate da altri fattori (economici, etnici, di genere, di età, politici, etc).
In particolare, la relativa assenza di pratiche cooperative significative, sistematiche ed inclusive rende difficile per queste categorie di trovare spazi dove far valere la loro prospettiva con reale impatto. Questa dimensione “isolante” del settore si estende ai rapporti con gli utenti finali ed i cittadini in generale, quasi mai coinvolti in fasi chiave del processo di costruzione, persino in progetti pubblicamente finanziati e riguardanti spazi comuni – portando a frequenti casi di opere ripudiate dalle stesse comunità “per” le quali erano state realizzate.
Questi ed altri previamente menzionati fattori si combinano in una percezione diffusa dell’ambiente edile, e del cantiere in particolare, come chiuso, settario, discriminatorio, poco tutelato, a rischio di operatività corrotta, in malafede e/o di qualità effettiva discutibile. Percezione in parte supportata dai numeri tragici sulle morti per incidenti di lavoro, sull’inclusione femminile, sugli abusi edilizi (specie nel mezzogiorno), e da eventi altamente mediatizzati di crolli ed altre catastrofi spesso legati ad incuria.
Osserviamo che molte caratteristiche negative associate al cantiere, come pericolosità, pesante sforzo fisico e scarsa cura igienico-sanitaria, sono tradizionalmente considerate “maschili”, così che affrontarle e sostenerle con successo è spesso ancora sentita come una prova di “virilità” accessibile solo agli uomini. Ciò sembra portare non solo ad una tendenza a restringere il cantiere ad una manovalanza prettamente mascolina, ma anche a disincentivare un trattamento significativo della sicurezza, attrezzatura e servizi igienico-sanitari in quanto attenzione non indispensabile verso lavoratori “virili”.
Questa resistenza ad affrontare pienamente problematiche significative, sia sul piano concreto del cantiere che sul piano dell’immaginario socio-culturale alla loro radice, contribuisce a rendere molte mansioni edili poco attraenti se non ostili verso donne, giovani, disabili ed altre fasce marginalizzate. Osserviamo un conseguente “Dream Gap” in queste categorie di popolazione, ovvero una difficoltà ad immaginarsi come partecipi del settore edile, a sognare progettualità future e vocazionali in esso.
Tale situazione pone ulteriori freni alla capacità del settore di attrarre e trattenere personale qualificato, fattore particolarmente centrale in un mercato del lavoro segnato da crisi salariale, abuso di contratti freelance, rapporti lavorativi di breve durata e focus su carriere personali piuttosto che su progetti aggregati – la cosiddetta “Gig Economy”.
L’approccio complessivo adottato lungo il percorso dei workshop itineranti potrebbe essere articolato nei seguenti step:
- Stabilimento e mantenimento di relazioni e reti cooperative;
- Definizione di necessità, ambizioni, obiettivi e parametri valutativi;
- Modellizzazione di strutture, operatività e pratiche di controllo;
- Analisi dell’andamento a tutti i livelli e conseguente aggiornamento;
- Iterazione del processo dal primo step.
Applicando tale approccio alle problematiche individuate, si sono gradualmente sviluppate proposte per possibili soluzioni.
Premialità del massimo impatto
Questo indirizzo strategico si basa sul considerare come esito ideale l’utilizzo dell’intero budget allocato a certi obiettivi, per raggiungerli con la massima efficacia, sostenibilità, scalabilità e dinamicità (di mercato, di ricerca, sociale, o altro) possibili. Mantenendo fisso il costo complessivo, la competizione per il miglior rapporto qualità / prezzo si focalizza dunque solo sulla qualità, incentivando progetti dediti ad obiettivi realistici, affrontati senza trascurare alcun dettaglio e livello.
In particolare, l’integrazione del concetto di “impatto” è fondamentale per estendere la mera qualità tecnica a considerazioni specifiche relative da un lato ad opportunità, necessità ed andamenti economico-politici (mercati, normative, etc), dall’altro alle caratteristiche degli stakeholders coinvolti (utenti finali, comunità, territori, attori istituzionali, etc).
Ciò tende intrinsecamente a dare priorità a progettualità rivolte ad aree fragilizzate e periferiche, nonché volte all’integrazione di elementi innovativi e di avanguardia, data la dimensione del loro potenziale impatto sia in termini qualitativi che quantitativi. In tal modo questo indirizzo strategico tende a ridurre l’influenza di fattori di privilegio, contribuendo dunque ad un miglioramento dei rapporti tra cittadini, istituzioni ed aziende.
La massimizzazione dell’impatto porta dunque organicamente ad integrare nel processo progettuale sia una dimensione cooperativa ed inclusiva, stimolando un uso sistemico di procedimenti quali la co-progettazione / co-programmazione, sia una prospettiva temporale di medio-lungo termine che incentiva l’inclusione sistematica a monte di manutenzione, smaltimento, aggiornamento e più in generale dell’impronta ambientale (chimico-fisica e socio-culturale).
Tale cambio di paradigma verso prospettive di più ampia temporalità potrebbe permettere un maggior focus sullo sviluppo di piani d’investimento mirati a garantire una maggiore sostenibilità e solidità generale del mercato, in modo da contribuire significativamente alla generazione dei capitali necessari a saldare debiti e adempiere ai vincoli relativi a finanziamenti Europei o internazionali.
Riforma della filiera educativo-formativa
L’istituzione di tavoli cooperativi permanenti per l’aggiornamento e la ridefinizione di parte dei curricula ai vari livelli di apprendimento potrebbe permettere una maggiore incisività e flessibilità dei contenuti, specialmente in relazione alle effettive esigenze del mercato del lavoro.
Tali discussioni più dirette tra aziende ed accademia potrebbero portare ad una definizione e separazione più organica ed efficiente tra competenze “centrali”, prettamente dominio di apprendimento in corsi e gruppi classe, e “specifiche”, meglio gestite tramite micro-formazioni in ambienti anche di tutoraggio on-site. A tale scopo, la creazione di un Albo Nazionale dei Tutor, opportunamente verificati ed accreditati, potrebbe essere chiave per la semplificazione ed efficientamento dell’ottenimento di competenze / qualifiche per specifiche mansioni.
Un’articolazione più capillare ed aggiornata di nuove mansioni e modalità lavorative sembrerebbe in tal senso necessaria e stimolante non solo come aggiornamento della filiera alle nuove necessità di mercato, ma anche come apertura a riflessioni condivise ed innovative riguardo l’operatività del lavoro edile – incentivando una partecipazione creativa ed anche intellettuale al settore, più attraente e valorizzante nei confronti delle nuove generazioni.
Una tale ottica di maggior decentramento del processo educativo-formativo potrebbe essere meglio supportata da una graduale transizione dei tradizionali modelli di insegnamento frontale verso modelli partecipativi, pratici ed in cooperazione con altri attori territoriali. Tali modelli permettono un lavoro educativo organico sulle competenze di base della cittadinanza e dell’occupabilità (life skills, soft skills, etc).
Una naturale conseguenza di un simile focus educativo-formativo potrebbe essere l’integrazione pratica degli ambiti della sicurezza, della manutenzione e della gestione inclusiva / sostenibile dei luoghi di lavoro. In tal modo si potrebbe forse incentivare un graduale cambio di paradigma nell’immaginario legato all’edilizia ed in particolare al cantiere, facilitando l’istituzione ed il supporto sostenibile di pratiche di orientamento vocazionale accessibile a tutte le fasce di popolazione, includendo donne, giovani, disabili, etc.
Edilizia 4.0
Far leva sull’indirizzo di massimizzazione dell’impatto per spendere meglio anziché meno potrebbe incentivare un effettivo investimento massiccio e sistematico nella digitalizzazione del settore edile Italiano, a livello sia di sviluppo hardware / software (nuovi materiali / tecnologie, BIM, etc che di opportune normative e formazioni.
Tali sviluppi verso il digitale potrebbero gradualmente efficientare la comunicazione e documentazione dei processi di costruzione, contribuendo positivamente ad una generale riforma di settore, particolarmente sul piano normativo e burocratico, che vada ad includere supporto, tutela e opportune verifiche per l’integrazione di nuove figure professionali, forme d’impiego, modalità formative / certificative, modelli cooperativi.
Questi ultimi, incentivati come già menzionato dall’indirizzo al massimo impatto, contribuiscono organicamente al mantenimento di trasparenza e verifica in un contesto di snellimento burocratico tramite il coinvolgimento di attori indipendenti e stakeholders con diversi interessi / prospettive.
Un nuovo ambiente pluralista e focalizzato sull’impatto effettivo tenderebbe quindi a disincentivare clientelismo e lavoro al nero, supportando invece l’instaurarsi di modelli permanenti di cooperazione territoriale / istituzionale a tutti i livelli, inclusa la creazione di nuovi enti / agenzie partecipativi e l’implementazione di pratiche di economia circolare.
Ciò potrebbe permettere di creare e mantenere pool di investimento locali, meno soggetti alle volatilità di mercato e quindi atti a stabilizzare la sostenibilità progettuale / aziendale, in particolare sul piano di risorse dedicabili ad attività continue come formazione e manutenzione, le cui caratteristiche di “rendimento indiretto e diffuso” le rendono usualmente inappetibili per finanziamenti privati.
Una maggiore costanza e sostenibilità di pratiche continue come manutenzione, adeguamento e smaltimento, facilitate dalla digitalizzazione delle strutture, apre alla possibilità di un loro utilizzo sistematico come esperienze di cantiere-scuola ed alternanza studio-lavoro realizzate in cooperazione con i vari attori pertinenti. Ciò potrebbe contribuire ad integrare in modo più efficiente i tempi formativi, magari già snelliti dall’apertura a micro-corsi e tutoring, nei tempi produttivi aziendali, riducendo l’onere legato all’obbligo formativo.
Rinnovamento aziendale
Il nuovo ambiente sopra descritto potrebbe permettere l’istituzione di Crediti Formativi Aziendali, per valorizzare l’attività di formazione dei dipendenti (a tutti i livelli) in termini di accesso ad incentivi, agevolazioni, premialità negli appalti. Ciò contribuirebbe ad un’apertura del mondo aziendale a contribuire ai processi educativo-formativi cooperativi, e ridurrebbe l’impatto di eventuali abbandoni / dimissioni di dipendenti post-formazione.
La nuova enfasi cooperativa in prospettive di medio-lungo termine, inclusiva di attività continue (manutenzione, formazione, aggiornamento, etc), incentiverebbe una maggiore aggregazione aziendale, portando ad un consolidamento della capacità di aggressione del mercato. Ciò, unito alla prospettiva di enfasi sull’adeguamento a nuove tecnologie e trend (digitalizzazione, transizione eco-sostenibile, etc), e al miglioramento di sostenibilità e trasparenza delle attività, potrebbe incrementare l’attrattività presso investimenti anche internazionali.
La risultante maggiore disponibilità finanziaria, unita alle aperture formative ed alla sistematicità di pratiche cooperative, renderebbe possibile una ridiscussione ed adeguamento di spazi e pratiche di lavoro con fasce di popolazione correntemente escluse / disincentivate. Tale maggiore diversificazione (di genere, etnia, età, etc) espanderebbe drasticamente il bacino di impiego e incrementerebbe il potenziale innovativo delle aziende.
Il nuovo ambiente così creato potrebbe dunque essere molto più attraente, aumentando la ritenzione ed investimento dei dipendenti, e, specialmente in tandem con maggiore trasparenza e coinvolgimento di utenti finali / territori, godere di migliore reputazione generale, incrementando l’interesse a formarsi e lavorare nel settore.