Per Anna Moreno, socio fondatore nonché presidente dell’Ibimi, l’associazione per l'”open” Bim battezzata poco più di un anno fa, la rivoluzione Bim nel nostro Paese non sarà una passeggiata:
«La stragrande maggioranza delle imprese edili italiane è di piccola dimensione e non dedica il tempo dovuto alla formazione continua se non per l’obbligatorietà di legge. Dunque sono in pochi ad essere preparati per l’innovazione».
Operare in Bim significa rivoluzionare il proprio modo di lavorare, imparare a condividere il proprio lavoro con altri professionisti, perché «nel Bim o si vince tutti o si perde tutti», dice.
Moreno, quali sono i punti forti e quelli deboli delle nostre imprese?
Le nostre imprese hanno una capacità di muoversi tra mille difficoltà ed essere molto creative, ma soprattutto hanno competenze sui lavori di riqualificazione del patrimonio culturale che potrebbe permetterci di diventare un punto di riferimento internazionale. Per contro c’è una scarsa propensione a lavorare con una visione integrata mentre lavorare in Bim significa progettare, ad esempio, tenendo conto della manutenzione ordinaria e straordinaria dell’edificio, costruire tenendo conto dell’impatto dei materiali e degli impianti che si intende utilizzare, significa insomma lavorare per un bene comune e non per i soli propri interessi economici.
Quali rischi possono palesarsi a seguito delle nuove regole introdotte dal codice degli appalti?
Purtroppo in Italia si accettano nuove regole solo quando sono obbligatorie e nel momento che lo diventano si cerca di bypassarle o di chiedere delle deroghe perché non si è pronti. Ci sono già stati una trentina di appalti pubblici nei quali è stato richiesto il Bim per cui, se non ci si adegua, si rischia di vedere gli appalti vinti da aziende del nord Europa. Ecco perché bisogna formarsi seriamente, da subito, in modo da essere pronti per operare in Bim anche se l’obbligo comincerà per le grandi opere con grossi investimenti e poi negli anni si estenderà a qualsiasi opera pubblica.
Come si fa a riconoscere un professionista del Bim?
In tutti i paesi dove il Bim si è già sviluppato da diversi anni, si parla di diverse figure, tra queste in primis il Bim manager o l’information manager, poi il Bim coordinator, il Bim modeller, il Bim expert. Non esiste una sola professionalità così come un corso che vada bene per tutti. Ma nella stazione appaltante deve esserci un professionista in grado di interpretare i requisiti del committente per tradurli in requisiti d’interoperabilità tra i diversi modelli che i professionisti dovranno proporre, sviluppare e implementare durante il ciclo di vita dell’edificio.
Cosa suggerirebbe alle pubbliche amministrazioni?
Suggerirei di formarsi o di individuare un soggetto terzo che gli possa garantire che effettivamente il progetto e/o manufatto che gli viene consegnato sia stato realizzato seguendo le regole dell’openBim. Non basta avere un progetto 3D digitalizzato, bisogna che il progetto sia disponibile in un formato indipendente dal software che l’ha generato e che pertanto possa essere letto, nelle sue parti essenziali, da qualsiasi altro software presente o futuro. È importante che la pubblica amministrazione possa intervenire sul manufatto senza dover ogni volta ripagare la progettazione e possa rendere disponibile il modello Bim per tutti i futuri lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Come Ibimi cosa state facendo?
Con i nostri professionisti del Bim stiamo lavorando alla definizione di una prassi di riferimento per le diverse figure in ambito Bim. Il prossimo passo sarà di chiedere il riconoscimento di tali figure, creare elenchi di professionisti dell’openBim. Abbiamo inoltre presentato un progetto, con Enea, Cnr, Regione Lazio, il comune di Castellammare, e due comuni del Lazio, per introdurre il Bim nella riqualificazione energetica di edifici storici pubblici. E proposto percorsi di formazione per geometri, ingegneri e architetti a valere sui fondi della regione Lazio.